Da qualche tempo accompagno una persona giovane con sindrome di Asperger in procinto di intraprendere un percorso di transizione da maschio a femmina o forse dovrei dire da uomo a donna, non so ancora come sia meglio dire. Nel contempo mi sono confrontata con una questione riguardante i tempi e i modi di apprendimento dei bambini, in particolare quando questi vengono considerati non nella “norma” rispetto all’età anagrafica del bambino.
Queste due esperienze mi hanno fatto molto riflettere e sono giunta alla conclusione che davvero il nostro tempo, questo momento della storia dell’umanità mi chiede, ci chiede di fare un grande passaggio tra ciò che viene comunemente ritenuto normale e ciò che invece è diverso, inteso come eccezione alla cosiddetta “regola”. Infatti penso che ognuno di noi nelle sue varie sfaccettature: capacità logiche, di risoluzione dei problemi, capacità motorie, capacità linguistiche, capacità empatica, gestione delle emozioni, orientamento e identità sessuale, e tanti altri aspetti della personalità che sarebbe impossibile elencare tutti, ognuno di noi è un puzzle di tutte queste componenti.Magari una persona potrebbe essere considerata nella norma per un aspetto e non per unaltro. E dunque che cosa mi dice tutto questo? Credo proprio che serva una profonda riflessione che porti a un radicale cambiamento di vedute su ciò che nella nostra cultura, nelle nostre famiglie e finanche nei nostri “programmi” interni, consideriamo normale.
Siamo un’umanità di diversi, ognuno diverso è uguale all’altro per qualcosa e non per qualcos’altro. A che serve standardizzare? Perché dare per scontato che la cosiddetta normalità sia proprio quella che in molti casi la nostra società la nostra cultura, il sistema educativo, ci propone? Non è forse più rispettoso e inclusivo non dare per scontato che tutti usino Internet, che tutti sappiano e debbano fare certe operazioni matematiche o scrivere in un certo modo a una data età? Perché abbiamo bisogno di questi standard? A cosa ci servono?
Secondo me ci servono a restare scollegati da noi stessi e da chi ci sta accanto, ci rendono timorosi di non essere per l’appunto nella cosiddetta “norma”.
Certamente ci serve sapere descrivere le caratteristiche di ogni individuo e ci può anche servire sapere come si funziona in un caso e come si funziona in un Altro.
Ma il fine di questo tipo di conoscenza dovrebbe essere inclusivo e dirci che il conoscere chi ci sta accanto è un’opportunità per ampliare i nostri orizzonti, non serve a nulla incasellare se non a creare un falso e fragile senso di sicurezza.
Come diceva il buon vecchio Gaber: da vicino nessuno è normale e trovo che poter riconoscere ancora oggi la bontà di questa ironica frase aiuti tanto ad alleggerire la pesantezza che ci avvolge.
Comments